da La ballata di un giovane bardo

Riportiamo un estratto da Sacro Amor Profano (https://www.lesflaneursedizioni.it/product/sacro-amor-profano/) di Lodovica San Guedoro, edito da Les Flâneurs Edizioni, in libreria e negli store online dal 27 gennaio 2023. Il libro è stato recentemente proposto da Franco Cardini per il Premio Strega 2023 con la seguente motivazione:

“Mi sono deciso a proporvi Sacro Amor profano, lavoro di una nobildonna italiana dal cognome che farebbe invidia a Guido Da Verona, ma che non è uno pseudonimo. Accintomi a leggiucchiare il manoscritto in un pomeriggio domenicale di quelli in cui, potendo, si ama oziare in poltrona col gatto sulle ginocchia e un bicchiere a portata di mano, mi sono scoperto con sorpresa ad appassionarmi alla lettura. Uno stile forse talora un po‘ troppo letterario, tuttavia etereo e mordace, lieve e corrosivo, aulico e semplice. Il libro di una «scrittrice in esilio» in molti sensi, dotato di intensità espressiva ed emozionale”.

 

La ballata di un giovane bardo

Ho ordinato roba leggera, rifiutando l’aperitivo.
Ma mi sono dovuta subito rendere conto che la vera giornata non era ancora cominciata: mentre il cameriere si allontanava, si è seduto al mio tavolo, mormorando appena permesso, un giovane, una specie di bardo, con un liuto in mano, e ha preso a fissarmi intensamente, quasi volesse ipnotizzarmi.

Un bel gioco, d’accordo, ma…
«Cosa desidera, per favore? Ci sono diversi tavoli liberi…
O, per caso, aveva prenotato proprio questo?».

E lui, senza rispondere, si mette ad accordare il liuto e sembra che voglia cantare. Tuttavia, alla fine, ci ripensa e si mette, invece, a parlare, rivelando un forte, ma incantevole, accento tedesco:
«Com’è cominciata questa favola?».
«Quale favola?».
Lui fa finta di non aver inteso e, distogliendo lo sguardo e chinando il capo malinconicamente:

«C’era una volta…», sostiene. «C’era una volta una bambina che aveva ricevuto da Dio un gran dono, e questo dono presto si rivelò una maledizione. Perché, nel Regno in cui viveva, non era più l’epoca dei grandi editori sensibili, che si rallegravano di veder piovere bella poesia o bei romanzi sui loro tavoli e si precipitavano a stamparli, e questa bambina, che però non poteva fare altro che scrivere e scriveva come Dio, dopo che le sue belle favole furono rifiutate mille e trecentocinquantacinque volte, dopo aver pianto e singhiozzato cinquecentoventicinque volte e mezza e aver tentato anche quattro volte di impiccarsi con una cordicella di salice, si era detta che così non poteva continuare e doveva mettersi in viaggio. Doveva farlo, per trovare un editore, anche se fosse stata l’impresa più difficile della terra e, per compierla, doveva oltrepassare i confini del Regno!

Così, una mattina, prima che sorgesse il sole, mentre i suoi
genitori e i suoi fratelli dormivano un sonno profondo, come
stregati, lei si mise in spalla una canna con appeso un fagotto,
in cui erano chiusi i suoi vestitucci, due mutandine di ricambio,
una penna d’oca e un quaderno, tirò pian pianino il chiavistello
e se ne uscì più furtiva della neve, per andare nel vasto mondo.
Si voltò indietro un attimo, ma poi mai più…

Aveva lasciato tutto: i fratellini, il papà, la mamma, i nonni, i cuginetti, le ziette, il bel giardino d’aranci e melograni, i vecchi balocchi, i suoi libri illustrati. Sapeva già che non sarebbe mai più tornata.
Era uscita all’alba e si era diretta subito, coi suoi piedi scalzi, verso il Nord, non sapeva neanche lei perché, dove c’è neve e ghiaccio, e, cammina cammina, supera la frontiera del Regno! Ed entra in una foresta scurissima: era notte, ma in fondo brillava un lumicino.
Con il batticuore, lei varca la soglia della casuccia cadente, e dentro c’era un vecchio con la barba bianca e i sopraccigli irsuti, che sedeva a una tavolina di quercia con tre gambe sole, e su questo tavolo, oltre a una candela morente, solo carte, tante carte…

Appena lei entrò, si produsse però una meraviglia: la fiamma della candela vacillò, si allungò e poi si dilatò, e nella misera casetta esplose una luce immensa, ne fu tutta illuminata come il palazzo dello Zar.

Il vecchio lesse con attenzione il testo del quaderno e, alzandosi di slancio, disse:

“Lo pubblico, bambina mia, in questo istante stesso! Tu sei una grande artista, così piccola eppure così grande, meriti la fama!”.

Si girò e andò a stamparlo nel retrobottega con una macchina nera, pesante e bellissima, di marca Heidelberg.

Intanto aveva già mandato il suo garzone nella vicina città con l’incarico di suonare tutte le campane a festa, in modo che gli abitanti si svegliassero subito e, prima di bere il caffè, apprendessero la stupenda notizia.
Per farla breve, in quella città del Nord, ci furono balli e banchetti e festeggiamenti per nove giorni e nove notti di seguito. Per le vie, nelle piazze, alle finestre, tutti leggevano o recitavano brani dell’opera della straniera, e s’ingaggiavano gare e si facevano quiz sempre imperniati su quell’opera, i musicisti la musicavano e così via. Si sa come vanno queste cose. Il re offrì addirittura alla straniera la mano del suo figlio
maggiore, il principino Anton Alois, che aveva otto anni e mezzo, ma allora ne dimostrava di più (come ora ne dimostra di meno). I bambini della città s’inseguivano sotto gli alberi con ghirlande di fiori in testa e intanto gridavano passaggi molto musicali, qualcuno rimato, del romanzo. Sembravano canzoni!».
«Aspetti!», supplico col respiro affannoso. «Ordino una bottiglia di Calvados, per poter resistere a quello che verrà. Cameriere! Una bottiglia di Calvados! Non è certo il momento di pranzare».
Al cameriere, poi, che sta arrivando con il piatto in mano:

«Lo riporti via, non mangio più, ma pago tutto, stia tranquillo! Voglio una bottiglia di Calvados…».

«Subito, signora», risponde il cameriere, conturbato più di me.
Il giovane, come non avesse udito nulla, continua intanto:

«Naturalmente le cose non possono andar mai bene nelle favole, e all’improvviso, trascorsi alcuni mesi, la straniera cadde in disgrazia. Scriveva scriveva, e l’editore, come in preda a un maleficio, rispondeva ogni volta no. La ragione era che i gusti erano cambiati, gli abitanti della città, e il re al primo posto, volevano leggere solo gialli e neri e romanzi storici e biografie. La straniera era disperata: ancor ieri era celebrata, decantata, letta! La straniera non era solo disperata, ma rischiava la fame! Le nozze con il principe ereditario furono soppresse. (Mi verso in fretta il Calvados, appena portato, lui non vede niente.) La straniera dovette mettersi a chiedere l’elemosina e, all’occorrenza, a fare lavori umilianti. Dormiva sotto un tetto sfondato, con un parapioggia sul capo, i piedi fasciati, mentre la neve cadeva a fiocchi nella stanzuccia, che era tutta bianca, bianchi il cassettone, la catinella, la penna d’oca.
Ma quel che era portentoso e difficile a comprendersi era che la bambina continuava a scrivere: un romanzo più bello dell’altro, un racconto più raffinato dell’altro, e poi commedie, una più eccitante dell’altra. Vagabondava, intanto, di Regno in Regno, sempre alla ricerca di un editore o di un regista che rappresentasse le sue pièces. Ma non c’era niente da fare, doveva essere la congiuntura mondiale. E questa ricerca durò per ventitré lunghissimi anni; se contiamo anche gli anni precedenti all’incontro col vecchio nella foresta, trenta.

 

  • Lodovica San Guedoro. Autrice di romanzi, racconti, drammi e commedie, nasce a Napoli da genitori siciliani. A Roma partecipa ai moti studenteschi ed è tra le femministe ultra di via Pompeo Magno. Sull’orlo dei vent’anni vola a Parigi: la decisione di divenire scrittrice è presa. Compie studi filosofici con indirizzo estetico a La Sapienza. Nel 2006, insieme allo scrittore tedesco Johann Lerchenwald, fonda a Monaco di Baviera una casa editrice bilingue: Felix Krull Editore. Si fa notare per le sue molte partecipazioni allo Strega: con L’allegro manicomio nel 2016; Pastor che a notte ombrosa nel bosco si perdé… nel 2017; Le memorie di una gatta nel 2019; Amor che torni… nel 2020; Il mostro di Firenze e altri racconti nel 2022. 



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