Riportiamo con grande piacere un testo inedito dello scrittore portoghese Pedro Eiras. Ringraziamo l’autore per lo splendido regalo, Claudio Trognoni e Rachele Manni per la traduzione in lingua italiana.
Disparar uma flecha no escuro
Pedro Eiras
E entre quatro paredes densas
De funda e devorada solidão
Alguém seu próprio ser confundirá
Com o poema no tempo
Sophia de Mello Breyner Andresen
Escrever é disparar uma flecha no escuro: a madeira resistente entre os dedos; a corda tensa; os músculos concentrados no esforço. E depois, num só instante, a flecha salta no espaço, o arco vibra e regressa à sua forma, o som da madeira rasga o ar. Mas o arqueiro está no escuro, não vê por onde a flecha segue: talvez se perca no vazio, talvez rebente no espaço, talvez acerte no alvo, imediatamente, talvez daqui a muitos anos, muitos anos.
Se enviamos uma carta a alguém, escrevemos no envelope dois endereços: o do destinatário, o do remetente. São as nossas palavras, e sabemos a quem se dirigem. Deitamos o envelope no marco de correio, e pensamos que a carta chegará ao seu destino: um nome escrito num bocado de papel. Enviamos cartas, correio electrónico, mensagens de telemóvel, sabemos a quem se dirigem. Quase conseguimos ouvir os lábios, do outro lado do espaço, a lerem a nossa mensagem.
Mas quando escrevemos um livro ignoramos quem o lerá. Desconhecemos os nomes dos leitores, das leitoras. Não sabemos se vão ler o livro todo seguido, ou distraidamente, ou se vão abandonar a leitura, a meio; não sabemos se andarão muitos anos com o livro no bolso, na mochila, na mesa de cabeceira; não sabemos nada. Mesmo assim, escrevemos, e disparamos o livro no escuro, sem saber se está alguém do outro lado, se haverá uma mão para receber estas palavras. Escrevemos para os desconhecidos, que talvez ainda nem tenham nascido. E como é estranho, isto: escrever uma carta a um destinatário desconhecido. Ouvimos a flecha a perder-se no escuro, nunca mais a encontramos.
Posso convocar outra imagem. Penso numa ilha deserta e num náufrago. Penso na solidão, e naquele bocado de papel que ele encontra, e na esferográfica, e na garrafa. O náufrago escreve algumas palavras, talvez um simples s.o.s., talvez um diário ou uma confissão, talvez as palavras que sempre quis escrever mas nunca teve coragem, talvez apenas o seu próprio nome, para se lembrar de que ainda tem um nome. Coloca o papel enrolado na garrafa, fecha-a, lança-a ao mar. Não sabe aonde a garrafa irá, que ondas e correntes a transportarão; não sabe se alguma vez será aberta por algumas mãos, nem se a sua língua fará algum sentido, lida por outros olhos. Mesmo assim, o náufrago lança a garrafa ao mar, nem ele sabe por quê; talvez porque não pode fazer mais nada.
Quando se lê um livro, recebe-se uma garrafa que atravessou os mares: pode ter sido lançada às ondas um par de meses antes; ou há mil anos. Foi empurrada pelas correntes e tempestades, até chegar às nossas mãos. E então lemos. Estamos a lê-la, agora mesmo. Muitas vezes, é demasiado tarde para atender ao s.o.s.; e talvez nem seja assim tão importante ir buscar os mapas, procurar as ilhas possíveis. Mas a garrafa chegou, com a sua pequena mensagem: está aqui, nas nossas mãos. Vinda do escuro, a flecha magnífica acerta em nós.
Scoccare una freccia nel buio
Pedro Eiras
E tra quattro pareti dense
Di profonda e divorata solitudine
Qualcuno il suo proprio essere confonderà
Con la poesia nel tempo
Sophia de Mello Breyner Andresen
Scrivere è scoccare una freccia nel buio: il legno resistente tra le dita; la corda tesa; i muscoli concentrati nello sforzo. E dopo, in un solo istante, la freccia si libera nello spazio, l’arco vibra e ritorna alla sua forma, il suono del legno fende l’aria. Ma l’arciere è al buio, non vede dove va la freccia: forse si perderà nel vuoto, forse si romperà nello spazio, forse centrerà il bersaglio, immediatamente, forse tra molti anni, molti anni.
Se mandiamo una lettera a qualcuno, scriviamo sulla busta due indirizzi: quello del destinatario, quello del mittente. Sono le nostre parole, e sappiamo a chi si rivolgono. Infiliamo la busta nella buca delle lettere, e pensiamo che la lettera arriverà a destinazione: un nome scritto su un pezzo di carta. Mandiamo lettere, e-mail, messaggi dal cellulare, sappiamo a chi si rivolgono. Quasi riusciamo a sentire le labbra, dall’altra parte dello spazio, mentre viene letto il nostro messaggio.
Ma quando scriviamo un libro ignoriamo chi lo leggerà. Non conosciamo i nomi dei lettori, delle lettrici. Non sappiamo se leggeranno il libro tutto di seguito, o distrattamente, o se abbandoneranno la lettura, a metà; non sappiamo se se ne staranno molti anni con il libro nella borsa, nello zaino, sul comodino; non sappiamo niente. Eppure, scriviamo, e scocchiamo il libro nel buio, senza sapere se c’è qualcuno dall’altra parte, se ci sarà una mano a ricevere queste parole. Scriviamo per gli sconosciuti, che forse nemmeno sono ancora nati. E com’è strano, questo: scrivere una lettera a un destinatario sconosciuto. Sentiamo la freccia che si perde nel buio, senza mai più ritrovarla.
Posso evocare un’altra immagine. Penso a un’isola deserta e a un naufrago. Penso alla solitudine, e a quel pezzo di carta che trova, e alla penna, e alla bottiglia. Il naufrago scrive alcune parole, forse un semplice S.O.S., forse un diario o una confessione, forse le parole che avrebbe sempre voluto scrivere senza mai averne avuto il coraggio, forse solo il suo stesso nome, per ricordarsi che ha ancora un nome. Mette il foglio arrotolato nella bottiglia, la chiude, la lancia nel mare. Non sa dove andrà la bottiglia, quali onde e correnti la trasporteranno; non sa se verrà mai aperta da una qualche mano, né se la sua lingua avrà un qualche senso, letta da altri occhi. Eppure, il naufrago lancia la bottiglia nel mare, neanche lui sa perché; forse perché non può fare nient’altro.
Quando si legge un libro, si riceve una bottiglia che ha attraversato i mari: può essere stata lanciata nelle onde un paio di mesi prima, o mille anni fa. È stata spinta da correnti e tempeste, fino ad arrivare alle nostre mani. E allora leggiamo. La stiamo leggendo, proprio adesso. Molte volte, è troppo tardi per rispondere all’S.O.S.; e forse non è così tanto importante andare a perlustrare le mappe, cercare le isole possibili. Ma la bottiglia è arrivata, con il suo piccolo messaggio: è qui, nelle nostre mani. Venuta dal buio, la freccia magnifica ci trafigge.
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Traduzione svolta da Rachele Manni nell’ambito del corso di lingua portoghese II-III 2022/2023, tenuto dal Prof. Claudio Trognoni presso l’Università di Roma “Tor Vergata”.
Pedro Eiras è professore di Letteratura Portoghese presso l’Università di Porto e membro del gruppo di ricerca internazionale Lyra Compoetics, dal 2001 è autore di opere di finzione narrativa (Bach, Cartas Reencontradas de Fernando Pessoa, Os Três Desejos de Octávio C., O Mapa do Mundo), teatro (Um Forte Cheiro a Maçã, Uma Carta a Cassandra, Um Punhado de Terra, Bela Dona, Teatro I, Teatro II), poesia (Inferno, Purgatório, Paraíso) e saggistica.
Claudio Trognoni è professore di lingua e traduzione portoghese presso l’Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”. Collabora con il settore culturale dell’Ambasciata del Portogallo a Roma.