Un bambino molto sveglio incontra un uomo con una valigia e un’ossessione. L’uomo è Walter Benjamin e l’ossessione è quella nei confronti di particolare rettile chiamato lucertola occellata, un rettile che non ha molta voglia di farsi vedere ma che popola il desiderio di molti. Il mondo sta per cambiare, le ombre lunghe del nazismo sono al lavoro con una pazienza che non ti aspetteresti dal male e quel bambino è Italo Calvino.
Il bambino racconta all’uomo delle lucertole che se il pallone, scappando nei carugi, finisce tra i binari, sua madre non vuole che lui li attraversi per riprendersi la palla. Finisce qui il racconto, ma Benjamin lo istiga, gli chiede: cosa può succedere dopo? Cosa accadrebbe se per non attraversare i binari un bambino decidesse di arrivare fino alla loro origine?
Poi che succede? Lo potrebbe chiedere un lettore.
Un bambino a cui la madre ha proibito di attraversare i binari per riprendersi il pallone decide di seguire il flusso di quei fili d’acciaio e non torna più indietro. Il bambino cresce inseguendo l’orizzonte, diventa un uomo, fatica nei campi, dorme sui binari al fresco. Un giorno quell’ormai non più bambino scopre in un articolo che uno scrittore di nome Italo Calvino, tanti anni prima, aveva raccontato la storia di un bambino che per non attraversare i binari e disobbedire alla madre decise di arrivare alla loro origine.
A un certo punto l’uomo dei binari incontra l’uomo che disegna isole e gli racconta la sua storia, gli spiega perché non vuole allontanarsi dai binari (non vuole o non può, ci chiediamo noi lettori?) e l’uomo che disegna le isole si fa una risata perché capisce subito che cosa sta succedendo.
L’uomo che disegna le isole è Carlo Levi amico e collega di Italo Calvino. Quando si incontrano, Levi dice a Calvino di aver incontrato un parto della sua immaginazione. È proprio lui, gli racconta, il bambino di quella vecchia storia che aveva a che fare con Benjamin e le lucertole occellate.
Italo Calvino non ci crede, ma noi sì, noi ci crediamo perché c’è un autore sopra l’autore, un Dio sopra il Dio, Marino Magliani.
E dunque ecco qui come si raccontano i sogni, esattamente così, con una scrittura che si sa far fiaba, delicata e carezzevole, con un punto di vista che si perde all’orizzonte, che sa far diventare isole anche gli spezzoni di costa. Questo è quello che fa Marino Magliani.
La Liguria poi, che nell’immaginazione sembra essere una lunga distesa orizzontale, prima quasi di una dimensione che la innalzi nel cielo, qui è stiracchiata verso l’alto, viene resa tridimensionale, buca quasi la pagina.
Il libro di Magliani ha, secondo il mio parere, delle parentele di altissimo livello. Da una parte, il personaggio del bambino dei binari è chiaramente Calviniano, si può tranquillamente sedere al tavolo assieme al Visconte dimezzato, al Barone rampante o al Cavaliere inesistente; dall’altra, l’acceleratore pestato sul lato onirico e fiabesco ricorda la letteratura argentina e i suoi personaggi erranti. Infine, per chiudere il cerchio, quel rapporto tra creatore e personaggio creato a me ha fatto ritornare in mente “Nebbia” di Unamuno, un libro in cui il protagonista a un certo punto chiede chiaramente al suo creatore di dirgli da che parte andare.
Le influenze possono essere molte, alcune palesi, altre nascoste, ma il risultato ultimo, nel caso de “Il bambino e le isole” di Marino Magliani è quello di un romanzo che va letto come fosse la brezza primaverile, ascoltando il ritmo delle parole e annusando i profumi dell’aria.
Il risultato di questa lettura è una forte dose di nostalgia perché Magliani, pur raccontando una storia particolare e in fin dei conti unica, riesce a esplodere nell’universale e a farci portare a galla parecchi ricordi della nostra infanzia.
Marino Magliani è nato in una valle ligure e ha trascorso gran parte della vita fuori dall’Italia. Oggi vive tra la sua Liguria e la costa olandese, dove scrive e traduce. È autore di numerosi libri, tra cui Il cannocchiale del tenente Dumont (L’orma, 2021) candidato al premio Strega.