Ferrovie del Messico

Il fenomeno Griffi/Mozzi e il bestseller “Ferrovie del Messico”

A maggio 2022 è uscito, per l’editore Laurana, un tomo di 824 pagine, nello specifico nella collana Fremen curata da Giulio Mozzi.

A maggio 2022, al Salone Internazionale del libro di Torino, in un angolo dello stand Laurana ho visto una pila di libri dalla mole generosa.  Passando e ripassando davanti allo stand mi sembrava che la pila non diminuisse di un millimetro.

Poi niente per un po’.

Poi qualcosa.

Poi questo.

Ferrovie del Messico

Ferrovie del Messico

Una decina di ristampe e a febbraio 2023 Laurana ha annunciato di aver venduto i diritti di traduzione nella lingua tedesca di questo libro di 824 pagine.

Domanda precisa numero 1: Cosa è successo in questi 10 mesi?

Domanda precisa numero 2: “Ferrovie del Messico” merita di essere diventato un bestseller?

Inizialmente non avevo intenzione di leggere “Ferrovie del Messico” di Gian Marco Griffi – è questo il titolo del libro di cui sto parlando – a maggio 2022 non ne avevo avuto voglia perché l’elemento costitutivo della piramide a gradoni presente allo stand Laurana era un libro che, per i miei standard, era davvero enorme. Non ho molta familiarità con i testi colossali perché, e mi rendo conto che è una cosa che mi definisce come lettore, sono più tipo da mordi e fuggi.
In seguito, la voglia di leggerlo era rimasta bassa perché se ne parlava troppo e, come capita di solito in questi casi, la discussione si era polarizzata (ma di questo parlerò in un momento successivo).

A casa mia “Ferrovie del Messico” è arrivato il primo gennaio 2023 e, per un motivo o l’altro, che non hanno nulla a che vedere con la qualità del testo, ho impiegato due mesi e mezzo a leggerlo. L’ho comprato perché, alla fine, il romanzo era riuscito a incuriosirmi e volevo rispondere alle domande precise numero 1 e 2.

A un certo punto, sul profilo Facebook di Giulio Mozzi, che per inciso, ma lo sanno tutti, cura la collana Fremen di Laurana nella quale è uscito “Ferrovie del Messico”, hanno iniziato a spuntare decine di foto della copertina del romanzo. Per lo più avvistamenti in questa o quella libreria, sia di catena che indipendente. Sembrava che Mozzi ci tenesse a far vedere al suo pubblico che “Ferrovie del Messico” era un libro realmente esistente e, cosa importantissima, a portata di mano. Non era difficile ottenerlo, bastava fare due passi, era lì.

Quando è iniziata l’esplosione di fotografie mi sono arrivati alcuni messaggi in chat da persone con cui ho l’abitudine di parlare di libri.

“È diventato un piazzista porta a porta”.

“Se insiste così tanto vuoi dire che il libro fa schifo”.

“Sta facendo di tutto per far rientrare l’editore delle spese, non costa poco pubblicare 800 pagine”.

E più mi arrivavano questi messaggi più io mi chiedevo cosa stesse succedendo.

Ecco quindi la risposta alla domanda precisa numero 1: Cosa è successo in questi 10 mesi?

È successo il passaparola. Mozzi ha dato voce a tutti, a ogni foto, a ogni commento, recensione, opinione. Ha dato voce alle parole positive e a quelle negative, ha dato a ognuno qualche minuto di “celebrità” (se condividerà questo mio pezzo lo farà anche con me) e non lo ha fatto per il bene di noi tutti, ma per utilizzare lo stratagemma del “basta che se ne parli”.

Una strategia. Una strategia che però, va ricordato, non ha nulla a che vedere con la qualità del romanzo. Vale sia nel caso in cui un romanzo sia pessimo, sia nel caso che si tratti di un capolavoro.

Mozzi sa di sicuro che per perforare lo strato di indifferenza che circonda la maggior parte dei libri pubblicati in Italia c’è bisogno di un lavoro mostruoso, tanto più se non puoi vendere l’autore del libro come giovane promessa o come caso umano.

Ma spostiamoci un attimo sul libro.

“Ferrovie del Messico” non racconta una storia, ne racconta tanta, ma se volessi trovare un fulcro attorno al quale far orbitare la narrazione di Gritti lo troverei in Francesco “Cesco” Magetti soldato al servizio della Guardia nazionale repubblicana ferroviaria alle prese con un amore, un dolore e un compito. L’amore è quello per Tilde, bibliotecaria stravagante dagli occhi bellissimi; il dolore invece è quello che gli procura un dente cariato che il buon vecchio Cesco ha troppa paura di farsi curare ma che di per sé è già metafora; il compito è quello che gli viene affibbiato dall’alto, da molto in alto: disegnare una mappa ferroviaria del Messico. Un ordine che, a dirla tutta, sembra importare più a lui che a tutti gli anelli della catena di comando che hanno giocato a scarica barile.

È la ricerca di informazione che gli permettano di disegnare questa mappa a muovere la vita di Cesco e a fargli incontrare decine di personaggi fuori dal comune, ma in particolare, ciò che Magetti sta cercando con tutte le sue forze è un piccolo libretto in lingua spagnola intitolato “Historia poética y pitoresca de los ferrocarriles en Mèxico” dell’autore Gustavo Adolfo Baz che sembra contenere informazioni vitali per la riuscita dell’impresa di Cesco. Un libro che raccoglie mito e realtà e li mescola, un libro che cita la mitica città di Santa Brígida de la Ciénaga, luogo misterioso a cui si arriva appunto utilizzando una linea semisconosciuta delle ferrovie del Messico e che, a quanto sembra, nasconde un’arma in grado di influenzare le sorti della seconda Guerra Mondiale.
Qui si gioca ovviamente sul ben noto interesse di Adolf Hitler per il mistico, il sovrannaturale e l’esoterico e per tutti quegli elementi che potevano essere utilizzati per suffragare l’ipotesi della superiorità della razza ariana nei confronti del resto del mondo.

Il libro che cerca Cesco è introvabile, la sua è una rincorsa che lo porta a confrontarsi con personaggi sempre più interessanti e assurdi, cito, come esempio, i due becchini del cimitero di San Rocco (San Rocco, patrono di molti, ma in particolar modo, dei necrofori, dei viandanti e degli emarginati) in cui vengono distrutti i corpi di tutti quelli che muoiono e nel quale Cesco (assieme a Tilde) incontra Lito e Mec. Le pagine dedicate a questo incontro sono tra quelle che ho preferito di più dell’intero romanzo perché mostrano senza ombra di dubbio la potenza dell’inventiva di Griffi che viene lanciata a mille all’ora, ma che ha sempre una briglia a tenerla sotto controllo.

È esattamente in questo momento che ho percepito forte il debito di Griffi nei confronti della letteratura Latino Americana. Nei mesi scorsi sono incappato in più di una recensione del romanzo di Griffi e la costante è quella del paragone con Bolaño , cosa che devo dire, per quel che mi riguarda, è abbastanza evidente (Arturo Belano è un personaggio condiviso che suona molto come un omaggio al maestro) ma c’è un altro autore che mi sono ritrovato a ricordare mentre leggevo “Ferrovie del Messico” e quell’autore è Osvaldo Soriano. Ora, io non ho assolutamente nessuna ragione di pensare che Griffi abbia letto Soriano, ma la caratterizzazione dei personaggi, il loro essere assurdi all’interno di un mondo che appare quasi perfettamente normale, il loro essere fuori fuoco, sull’orlo di una pazzia che in realtà assomiglierebbe alla sanità mentale se il mondo in cui viviamo fosse sano, ecco, questa comunanza tra Griffi e Soriano mi è parsa evidente. Durante la lettura di “Ferrovie del Messico” sono più volte ritornato ai personaggi di “Triste Solitario Y Finale”, di “Mai più pene ne oblio” e di “Un’ombra ben presto sarai”. Può essere però che questa somiglianza dipenda, molto semplicemente dal fatto che sia Soriano che Griffi attingono dalle stesse fonti.

Il nume tutelare, per gran parte del romanzo, pare comunque essere uno scrittore che, rispetto a Soriano, ha di certo uno status superiore: Jorge Luis Borges. In particolare “Il giardino dei sentieri che si biforcano” di cui Tilde lascia una luminosa traccia nel cimitero di San Rocco. Ed è proprio questo racconto di Borges che, in qualche modo, si raccorda alla struttura di “Ferrovie del Messico”. Il libro di Griffi è, a tutti gli effetti, una dimostrazione di cosa può succedere quando i sentieri iniziano a biforcarsi ed è, contemporaneamente, una definizione calzante anche per le stesse ferrovie (del Messico e non). Il romanzo procede per incontri e idealmente a ogni incontro potrebbe scaturire un ulteriore romanzo di 800 pagine. Anche questa volta prendo come esempio le pagine dedicate al cimitero di San Rocco dove Lito, come una novella Sherazade, racconta la propria vita legando una storia all’altra in una narrazione che potenzialmente potrebbe non avere mai fine. I sentieri si biforcano, seguiamo le gesta di Lito e Mec per un po’, ne veniamo catturati, ci affezioniamo a questi uomini avventurosi e alla loro sofferenza e poi, tornando nei nostri passi, ce li lasciamo alle spalle.

Chissà poi cosa rappresenta Santa Brígida de la Ciénaga? Quel luogo che sembra essere la meta finale dell’ultima biforcazione, chissà se la città a cui è stato dato il nome della santa patrona dei pellegrini e dei viaggiatori non sia, in fin dei conti, l’ultima tappa del cammino di ognuno di noi.

Usciamo di nuovo dal libro, guardiamo quello che succede al di fuori.

Nei social continuano a piovere recensioni, pareri, stroncature, commenti e chi più ne ha e più ne metta. A dicembre 2022 durante Più Libri Più Liberi, la fiera dell’editoria indipendente che si tiene a Roma, nel giro di due giorni, “Ferrovie del Messico” vince la prima edizione del premio letterario “Mastercard” e poi viene nominato libro dell’anno dalla trasmissione radiofonica Fahrenheit. Una doppietta niente male che fa ripartire le vendite (come se davvero si fossero fermate). La copia che possiedo io è una sesta edizione del novembre 2022, poi in pochissimo tempo ne sono arrivate altre quattro e tutte abbastanza corpose.

Quindi, che risposta si può dare alla domanda precisa numero 1? Che cosa è successo da maggio 2022 a marzo 2023?

Sono successe molte cose. Intanto è successo Mozzi. Il suo quasi quotidiano stillicidio di immagini, la costante riproposizione della copertina del libro (tra l’altro, gran bella copertina come tutte quelle di questa collana), il battage pubblicitario, tutto ha contribuito a scalfire a poco a poco il muro di indifferenza del lettore e della catena di consumo del libro. Mozzi ha spinto sull’acceleratore, ha martellato giorno dopo giorno per far diventare “Ferrovie del Messico” un elemento normale della vita di tutti coloro che frequentano i social. Ha funzionato.

Ma perché ha funzionato? Per rispondere a questa domanda devo rispondere anche alla domanda precisa numero 2, ma è ancora troppo presto. Mozzi ha speso sé stesso e lo status che ha all’interno del mondo dell’editoria. Ha avuto un comportamento che io personalmente non gli ricordo e che credo non abbia un predecessore nella sua carriera o almeno non c’è l’ha a questi livelli (lo ricordo sperticarsi in lodi nei confronti di “Perceber” di Leonardo Colombati uscito parecchi anni fa per Sironi, ma non così e forse non così anche perché i social all’epoca erano un’altra cosa o forse non erano proprio). Mozzi ha scatenato la tempesta perfetta.

Prima ho accennato alla polarizzazione, un fenomeno che non si affianca solo alle discussioni si libri ma che ormai è presente in qualsiasi scambio di opinioni, qualsiasi ne sia l’argomento. A me però interessava osservare quello che stava succedendo attorno a “Ferrovie del Messico” per cui ho cercato di seguire un po’ le vicissitudini della “critica letteraria” social.

Ci sono quelli a cui il libro, come è giusto che sia, non è piaciuto. Alcuni di questi hanno anche spiegato il motivo. Mi sembra di cogliere, tra chi non ha amato il libro di Griffi, almeno un paio di correnti. La prima è quella dei lettori che non l’hanno apprezzato semplicemente perché “Ferrovie del Messico” non era il libro per loro. Mi rendo conto che a tratti, il romanzo, sia tendente al prolisso, che le continue digressioni chiedano nei confronti del lettore un atto di fede e mi rendo anche conto che “Ferrovie del Messico” per il tipo di scrittura, di struttura e per il tipo di influenze che si porta dietro possa essere considerato un libro fuori tempo massimo, non adatto a decodificare la realtà in cui viviamo perché troppo ancorato a esempi di letteratura datata. In fin dei conti la trama può essere riassunta con poche parole: a un tizio viene assegnato un compito e per portarlo a termine ha bisogno di trovare un libro. Posso essere d’accordo, anche se secondo me, il libro di Griffi, più che decodificare la realtà in cui viviamo e fornirci gli elementi adatti a sopravvivere al futuro nefasto che ci aspetta, mi sembra che dia una sua versione della vita in generale, di qualcosa che viaggia perfino al di sopra della realtà e che, anzi, la realtà la contenga. Ma procediamo oltre. Questa è la prima sacrosanta tipologia dei non entusiasti.

Poi ci sono quelli che hanno iniziato a leggere il libro di Griffi solo dopo che il romanzo ha iniziato a far parlare di sé, solo dopo che sono state vendute le prime tre o quattro ristampe e il librone da 800 pagine è diventato un bestseller. In questo filone di lettori entrano quelli che leggono per distruggere, leggono per poter spiegare agli altri perché il successo di un libro sia immerito. Leggono per insegnare agli altri cosa è bello e cosa non lo è, cosa merita e cosa no. Non la considero nemmeno più una forma di invidia, ma un puro e semplice esercizio di stile. Credo che la maggior parte delle persone che rientrano in questa categoria siano ben consapevoli del fatto che demolire Griffi non avrà nessun impatto nella propria vita o, se dovesse esserci, nella propria carriera letteraria.

Ci sono poi quelli che leggono il romanzo perché lo hanno letto tutti. Le aspettative create dall’hype generato da mesi di chiacchiere non possono reggere il confronto con la realtà. Il loro non è astio nei confronti del libro, ma piuttosto una sottile delusione per non aver trovato nel romanzo quello che per loro doveva essere indispensabile per farlo diventare una lettura memorabile.

E le recensioni positive? Ci sono anche quelle. Per alcuni il libro era esattamente adatto a loro. Altri ne parlano bene perché sembra sia giusto così, altri ancora non vogliono offendere Mozzi e poi sono quelli che riescono a circostanziare il proprio pensiero in maniera adeguata e spiegano molto bene perché, per loro, questo romanzo ha avuto successo. Le recensioni positive sono tanto potenti quanto quelle negative, ma con segno opposto. Pare quasi impossibile trovare una terra di mezzo dove discutere dei pro e dei contri, dei pregi e dei difetti.

Polarizzazione dunque. Però c’è dell’altro. Anche in questo caso lo faccio notare in riferimento a questo romanzo, ma il concetto è ampio e ben documentato. Ogni critica negativa, ogni critica positiva vengono prese sul personale.

C’è una parte di uno sketch di Ricky Gervaise che trovo molto adatta a descrivere questo fenomeno. Dice Gervaise, a proposito di Twitter (parafraso un po’): la gente su Twitter si arrabbia per ogni cosa come se ogni cosa fosse diretta a loro. È come se in una bacheca io lasciassi un biglietto con i numeri di telefono da strappare in cui offro lezioni di chitarra e uno mi telefonasse oltraggiato per dirmi: I don’t want fucking guitar lessons.

Sui social è così, è così per ogni argomento. Non si riesce più a trovare un tavolo dal quale alzarsi dicendo molto semplicemente: ho capito le tue critiche, non le condivido, ma siccome non mi hai convinto, quella è la tua idea e te la tieni mentre io mi tengo la mia.

Nei giorni scorsi ho visto Mozzi pubblicare le schermate di un paio di post fatti da utenti Instagram, non le chiamerei recensioni perché entrambe mancavano un po’ del respiro che dovrebbe avere una recensione. Un post era positivo (quello meno argomentato) e l’altro era negativo (argomentato un po’ meglio). Sotto ai due post si sono sviluppati alcuni commenti. Alcuni mostravano di essere in disaccordo con l’opinione di chi aveva scritto il post originale, altri però non si addentravano nemmeno a criticare il post in questione, andavano dritti a gamba tesa sugli autori. Sembrava che l’unico scopo fosse quello di denigrare gli autori piuttosto che entrare nel merito della critica e controbattere con raziocinio spiegando la propria opinione o, anche, l’incompletezza del parere espresso. Dove sta il divertimento? Perché puntare il dito contro una citazione sbagliata, un refuso, un parere magari un po’ troppo superficiale? Perché non cercare di educare alla critica? Perché non contrapporre due visioni opposte senza necessariamente offendere, schernire, denigrare?

Funziona così. Si può fare qualcosa per modificare questi comportamenti? No, non credo.

 

Torniamo per un’ultima volta su Griffi, su “Ferrovie del Messico” e proviamo a dare una risposta alla domanda precisa numero 2: “Ferrovie del Messico” merita di essere diventato un bestseller?

Si pubblicano libri, si fa di tutto per vendere i libri. A volta capita che un libro compia un balzo quantico e venda molto più del previsto diventando un caso editoriale. La casa editrice può ben poco, può limitarsi a pubblicare un romanzo ma poi, quello che succede dopo, difficilmente è controllabile. Capita anche che libri scritti francamente male, ma con una storia che acchiappa, sbanchino al casinò. “Ferrovie del Messico” non entra in questa ultima categoria. Il romanzo di Griffi, e badate bene che, pur dovendo ammettere quanto sia triste doverlo specificare, il mio è un parere esclusivamente personale, “Ferrovie del Messico” è un romanzo in grado di accogliere il lettore e catturarlo. La scrittura di Griffi è meravigliosamente colorata, alcuni tratti sono decisamente molto lirici, per esempio il finale, altri sono onirici come la parte che narra del Messico, altri sono crudi perché si accostano al Nazismo, al Fascismo, alle lotte interne tra italiani, altre ancora sono ironiche per poi lasciare spazio al sarcasmo e infine alla disillusione. Griffi ha scritto un romanzo che per quel che mi riguarda ha successo nell’arduo compito di tenere accanto a sé il lettore per 800 pagine. Forse non risponde a tutti gli interrogativi che il lettore si pone mentre sta leggendo, ma non credo nemmeno fosse questa l’intenzione di Griffi.

Il suo è il romanzo di uno scrittore che ama la parola scritta, che ama raccontare una storia e che sa farlo bene. Ha riversato in “Ferrovie del Messico” una quantità incalcolabile di sapere che lascia spesso esterrefatti. Il suo è un romanzo che non è e non sarà mai per tutti e va bene così. È un romanzo che per me va bene proprio perché ho amato tantissimo la letteratura Latino Americana, dai già citati Borges e Soriano, per arrivare a Marques, Paramo.

Ho sentito chiamare “Ferrovie del Messico” in molti modi: romanzo picaresco, romanzo mondo, romanzo universo, romanzo postmoderno. A loro modo tutte e queste etichette hanno una ragione di essere. Picaresco per la ricerca spasmodica che Cesco porta avanti per quasi tutto il libro. Mondo e universo per il gusto nell’inserire decine di personaggi (Nicolao, Ettore, Ennio, Pietro, i poeti frenatori, la curandera, Mec, Lito e tutta la marmaglia dell’Aguila agonizzante, senza dimenticare Kraas, Tilde, Baz, e Adolf Hitler in persona) uno più indimenticabile dell’altro e postmoderno per quella smania di raccontare ogni minimo dettaglio, quell’esigenza di elencare, di sminuzzare ogni particolare. Tutto va bene. “Ferrovie del Messico” è un po’ di tutto questo in salsa italiana, è un romanzo che ti conquista per la sua capacità di dettare un ritmo di lettura lento e coinvolgente che fa quasi dimenticare quella realtà che sta di fuori e alla quale si contrappone con un movimento onirico e ipnotico.

Dunque, e qui finisco. Domanda precisa numero 2: “Ferrovie del Messico” merita di essere diventato un bestseller?

Sì, io sono convinto che lo abbia meritato. È l’unico libro degno di questo destino? No, assolutamente. Sarà un libro che leggeremo anche tra dieci e venti anni? Difficile a dirsi ma pur non avendo la sfera magica mi viene da pensare che dopo essere stato un bestseller, “Ferrovie del Messico” ha le potenzialità per diventare anche un “longseller”. Il suo tempo però è questo, il presente. Il futuro è talmente tanto incerto che non vale nemmeno più la pena di darlo per scontato.

 

 




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