“L’investigatore privato Marco Gonzo ama il whisky e odia i suoi clienti. Specialmente da quando gli affidano solo casi di sesso malato, depravato, deviato. Lui vorrebbe soltanto bere in pace, ma il whisky costa e quindi gli tocca lavorare. Si trasforma così nell’indagatore del sesso, infallibile (o quasi) coi criminali, perdente nella vita, ma con metodo. In questa serie di dieci avventure porno-hardboiled, una più folle dell’altra, tutto è eccessivo, macchiettistico, surreale. Gonzo non prende sul serio niente, a cominciare da se stesso”.
In occasione dell’uscita di Pornocidio di Tersite Rossi e Marco Gonzo, edito da Mincione Edizioni, abbiamo avuto il piacere di porre qualche domanda a Marco Niro e Mattia Maistri, i due membri del collettivo Tersite Rossi, che ringraziamo per la loro disponibilità a rispondere.
Da anni avete scelto di intrecciare i vostri percorsi autoriali, dando vita al collettivo a due Tersite Rossi. Ma Pornocidio è l’opera di un trio. E qui entra in scena il terzo autore: C’era una volta Marco Gonzo. Come lo avete conosciuto? Qual è di preciso il vostro ruolo in questo libro?
Non è stata la prima volta che qualcuno, in questi anni, ci ha contattati per
chiederci di entrare a far parte del collettivo, o anche solo proporci una collaborazione E abbiamo sempre risposto di no. Non per chiusura né per tirarcela, ma perché abbiamo sempre pensato che l’equilibrio precario faticosamente trovato fra noi due ne sarebbe uscito compromesso. Marco Gonzo
ha vinto questa nostra ritrosia. Ci è riuscito perché, anziché approcciarci nel solito
modo (“quanto siete bravi”, “ho in mente un progetto fichissimo che vi piacerà
senz’altro”, ecc.), si è presentato in maniera completamente diversa, dicendoci che aveva scritto della roba che era merda ma non più merda di quello che
mediamente si pubblica oggi, che ce l’affidava perché trovare un editore è una
rottura di palle e che l’affidava a noi perché eravamo dei perdenti come lui. Ci ha scritto tutto questo via e-mail, nell’estate 2020. Poi è svanito nel nulla. Il nostro
ruolo nelle storie di Pornocidio? Poco più che curatori.
Pornocidio è un libro stravagante già a partire dalla genesi editoriale. È stato difficile trovare un editore per un autore scomparso? E, alla fine, la strategia di Gonzo si è rivelata una trovata vincente in termini pubblicitari?
Più che difficile. Abbiamo faticato anche solo a farci credere. E poi la roba di
Gonzo è forte, parecchio forte, e non per tutti. Insomma, l’impresa non era
semplice. La faccenda, però, aveva a nostro avviso tutti i numeri per incuriosire, e
va detto che l’attenzione verso tutta la stramba storia, da quando siamo usciti, è in
effetti rimasta alta (per quanto in molti continuino a credere che sia una nostra
trovata…). Gonzo, dal canto suo, è rimasto nell’ombra. Per quel che ne sappiamo,
potrebbe anche essere morto (probabilmente di cirrosi epatica, stando a quanto
beve il suo alter ego in Pornocidio).
Marco Gonzo non è solo lo pseudonimo dell’autore disperso, è anche il nome del protagonista delle avventure di Pornocidio. In aggiunta, durante la lettura dei racconti, si ha più volte l’impressione di un assottigliamento della linea di confine tra realtà e finzione. Sulla base della vostra esperienza, come si è modificato il ruolo dello scrittore e l’approccio al lavoro letterario in questo periodo storico in cui è sempre più difficile distinguere fra testo e contesto, autore e personaggio?
Una volta si sentiva dire spesso, da parte degli autori di pura fiction, che una
componente autobiografica c’è sempre, in qualsiasi storia, persino in un fantasy.
Da tempo si può notare una tendenza al ribaltamento di questo approccio, così
che in quel che si racconta c’è anche qualche elemento di finzione (parafrasando
uno dei maggiori artefici di questo ribaltamento, quel Charles Bukowski che non a
caso Gonzo cita in esergo a Pornocidio: “Il 99% di quello che racconto è reale.
Aggiungo un 1% di finzione per renderlo credibile”). Può sembrare un approccio
più semplice, ma non lo è, perché è sempre difficile rendere interessante la propria persona. Questa sovrapposizione tra autore e personaggio porta anche al rischio di disimpegno, di vedere solo se stessi e non quel contesto sociale che qualsiasi narratore, a nostro avviso, dovrebbe conoscere e raccontare al fine di metterlo in discussione, criticarlo, modificarlo. Quello che ci è piaciuto di Gonzo è che, pur parlando sempre e sfacciatamente in prima persona, riesce anche ad artigliare il reale.
A proposito del Marco Gonzo personaggio, il detective privato che ama bere e odia lavorare: cosa vi ha affascinato in lui? Di certo Marco Gonzo è un looser, un predestinato alla sconfitta, che in fondo non si affanna neanche troppo nella battaglia. Possiamo considerarlo un eroe a suo modo, un antieroe o un posteroe?
Antieroe, senza dubbio. Uno che non solo gioca sapendo che perderà, ma che
vuole perdere, fa di tutto per perdere, e solo per il gusto di divertirsi e rompere i
coglioni a quelli che vinceranno. Gonzo perde e ci beve sopra. E bevendo, perde
ancora. E lo sa. E lo fa e poi lo rifà. Gonzo è un circolo vizioso. Il circolo vizioso
della sconfitta. Nonostante tutti i suoi difetti (del personaggio e probabilmente del
suo autore), a noi che sulla figura dell’antieroe abbiamo centrato tutti i nostri
romanzi è piaciuto soprattutto per questo. Crediamo sia sempre più importante
raccontare gli antieroi, in un’epoca in cui fin da piccolo ti viene insegnato che se
perdi non sei nessuno.
Il fil rouge che lega gli episodi della raccolta è piuttosto chiaro: ci muoviamo sempre nell’ambito del sex crime. Ma il desiderio di indagare la sessualità non lega soltanto i racconti di Pornocidio fra di loro, li avvicina anche alla vostra produzione: vi siete occupati del tema in diversi vostri racconti. Si direbbe che lo percepiate come una questione attuale, anzi urgente. E di certo l’impressione che si stia andando verso un’involuzione delle consapevolezze sessuali e dell’educazione sentimentale è piuttosto diffusa.
Viviamo in una società attraversata da due forti tendenze, apparentemente
contrapposte: la sessuofobia (di matrice soprattutto religiosa) e la mercificazione
del sesso (di matrice turbocapitalista). Questo genera dei cortocircuiti di grave
portata: l’alienazione sessuale, l’idea che il sesso sia quello dei video porno,
l’incapacità di conoscere prima ancora di esprimere i propri sentimenti. La nostra
è diventata una società dove il sesso è per lo più agito, usato come mezzo per
ottenere qualcos’altro, pensato come qualcosa di cui vergognarsi ma al tempo
stesso ossessivo, compulsivo, onnipresente. Lo notammo già ai tempi del nostro secondo romanzo, Sinistri, uscito nel 2012 col sesso agito a fare da filo rosso, e
le cose da allora sono peggiorate.
Entrando ancor più nello specifico, nella vostra indagine sulla sessualità avevate già rappresentato il mondo della pornografia.
La pornografia odierna, quella mainstream, fonde le due tendenze di cui sopra e
trova la perfetta sintesi: basti pensare che il 30% del traffico online è oggi generato da siti porno, ma tutto è ipocritamente nascosto, occultato, a dispetto dei grossi profitti che tale traffico genera (a spese tanto dei lavoratori che dei consumatori, come sempre in ogni mercificazione). E il problema, si badi bene, non è la pornografia in sé: la pornografia esisteva fin nell’antichità, quando non erano ancora arrivati il perbenismo delle religioni monoteiste né la mercificazione
capitalista a renderla quell’odioso esempio di ipocrisia che è oggi, e la sua fruizione era pubblica, aperta, libera. L’emblema di tutto questo è stato, qui da noi
in Italia, il caso Tiziana Cantone: se a fare porno sono le attrici e le sconosciute, va
bene e le si guarda senza remore, se invece sono amiche, mogli, madri, fidanzate,
figlie, non va bene e le chiamiamo con disprezzo puttane. Pensiamo quindi che
alzare il velo di Maya su tutto questo, raccontare della pornografia di oggi per
ucciderla nella sua essenza tossica (il pornocidio di Gonzo, appunto), sia un passo
necessario, una sfida da raccogliere. Se poi lo si fa come ha fatto Gonzo, nel modo
più provocatorio e dissacrante possibile, si può sperare anche di ottenere qualche
risultato, e al tempo stesso di divertirsi.
C’è un altro aspetto del lavoro di Marco Gonzo che ricorda da vicino la vostra produzione narrativa: il desiderio di procedere in direzione ostinata e contraria. Per svelare, a volte con amarezza altre volte attraverso l’ironia e autoironia, la miopia del perbenismo, le incongruenze della morale borghese, l’ingiustizia del sistema economico e sociale, la corruzione di chi la corruzione dovrebbe combatterla per lavoro.
Sesso e pornografia sono soltanto una cartina di tornasole di quanto accade a
livello più generale. I migranti vanno bene quando lavorano a due euro l’ora ma
non quando sbarcano sulle nostre coste, la mafia va condannata fino al momento
di appaltare lavori e opere agli amici degli amici, i corrotti vanno puniti solo fino a che non sono compagni di partito, la sostenibilità ambientale va perseguita solo
fino a che serve a mascherare nuovi business, se la giovane Luana muore
schiacciata dalla macchina presso cui lavorava ci commuoviamo e ci indigniamo,
poi però continuiamo a votare chi nulla fa per contrastare lo sfruttamento del
lavoro, la pace è sacra e va bene solo fino a che qualche alleato non ti dice che
bisogna armarsi e partire, e via dicendo. Nei nostri lavori abbiamo sempre cercato
di smascherare queste ipocrisie alla radice. Diciamo pure che scriviamo per questo.
La prova narrativa di Gonzo è nel suo insieme dominata dalla ricerca dell’eccesso, dal politicamente scorretto. Si tratta di una provocazione sociale? Di una sfida letteraria all’omologazione che dilaga in molta narrativa mainstream?
Francamente sì. Quando abbiamo letto la roba di Gonzo, trovandola così
palesemente indifferente a certe regole imperanti nella narrativa odierna, regole
fondamentali per avere successo e sfondare, regole fatte di buoni sentimenti e
persone “per bene”, regole da applicare spesso a scapito della qualità e della verità, ci è sembrato di riuscire a respirare meglio. E abbiamo pensato che, se Gonzo aveva scritto con tale sprezzo per i gusti del pubblico, il suo Pornocidio un editore se lo meritava davvero.
Tersite Rossi è un collettivo di scrittura.
Esordisce nel 2010 con il romanzo “È già sera, tutto è finito” (Pendragon), appartenente al genere della Narrativa d’Inchiesta e centrato sul tema della cosiddetta trattativa fra Stato e mafia d’inizio anni Novanta (finalista al premio Alessandro Tassoni 2011 e al premio Penna d’Autore 2011).
Nel 2012 esce il suo secondo romanzo con le “edizioni e/o”, il noir distopico “Sinistri”, all’interno della collana “SabotAge” curata da Massimo Carlotto, ambientato in un futuro fin troppo prossimo, intriso di tecnocrazia liberticida e folli tentativi di ribellione.
Nel 2016 esce il suo terzo romanzo, il thriller economico-antropologico “I Signori della Cenere” (Pendragon), a chiudere la “trilogia dell’antieroe” avviata con i precedenti due, sullo sfondo della crisi finanziaria d’inizio millennio e delle sue ragioni più profonde, ancestrali.
Nel 2019 esce il suo quarto romanzo, “Gleba” (Pendragon), appartenente al filone della new italian epic e centrato sulla tematica del lavoro, sfruttato e vendicato, che segna l’ingresso nell’era del post-eroe (vincitore del premio Librinfestival 2019-20 nella categoria “Miglior titolo/redazione” ).
Nel 2022 esce la sua opera quinta, “Chroma – Storie degeneri” (Les Flâneurs Edizioni), una raccolta di racconti che, nel loro sovvertire i generi letterari, graffiano come le spine di una rosa. O gli artigli di un mostro.
Nel 2023 esce la sua opera sesta, “Pornocidio” (Mincione Edizioni), una serie di dieci avventure porno-hardboiled che demoliscono convenzioni e luoghi comuni, buonisimi e perbenismi, e hanno come protagonista l’investigatore privato Marco Gonzo, soprannominato “l’indagatore del sesso”, che ama il whisky e odia i suoi clienti.
Suoi racconti sono inoltre apparsi sulle pagine di svariate testate, raccolte e antologie.